Da lontano
2019 | installation | 28 photographs, scans, 9x14 cm each | 4 shelves, wood, 22,8x122x8 cm each
Traces of a private and apparently lost time are the subject of a reflection on the concepts of memory and distance. Photographs of landscapes linked to an interior experience, suspended a few centimeters from a scanner’s reading surface, show the places of childhood, travel or familiar places, each positioned at different heights compared to the intensity of one’s memory. The scanner, like all image acquisition devices, is an instrument designed to capture only what is flat and which is placed in close contact with the glass surface, in such a way as to cancel any physical distance with the object. The inability to perceive the depth of field is added to the technically “incorrect” use of the device, bringing the images to unexpected consequences. All that remains of them is a vague sketch, a delicate re-enactment due to the rapid alternation of light and shadow during the manual action of lifting the film. A sort of aerial rereading of the past dictated, as well as by the optical sensor, by slight movements that get out of control causing distortions, repeated streaks, loss of information. The blurred image is closer to the natural imperfection of the eye, to a sort of myopia in this case voluntary, where the blurred characterizes the image, its intimacy. Attention rests on the threshold that separates sharpness and dispersion, respectively memory and oblivion, in an atmosphere with an illusory character, as if these spaces were the ambiguous vision of a mirage. In an attempt to translate the temporal thickness, scanning becomes a tool for measuring distance, in which the physical void is nothing but the projection of the emotional one. |
2019 | installazione | 28 fotografie, scansioni, 9x14 cm ognuna | 4 mensole, legno, 22,8x122x8 cm ognuna
Tracce di un tempo privato e apparentemente perduto sono il soggetto di una riflessione sui concetti di memoria e distanza. Fotografie di paesaggi legati a un vissuto interiore, sospese a pochi centimetri dal piano di lettura di uno scanner, mostrano i luoghi dell’infanzia, di viaggio o i luoghi familiari, ognuno posizionato ad altezze diverse rispetto all’intensità del proprio ricordo. Lo scanner, come tutti i dispositivi di acquisizione immagini, è uno strumento progettato per catturare soltanto ciò che è piano e che viene posto strettamente a contatto con la superfice vetrata, in modo tale da annullare qualunque distanza fisica con l’oggetto. L’impossibilità di percepire la profondità di campo si somma all’uso tecnicamente “scorretto” del dispositivo, portando le immagini a conseguenze inattese. Di loro non resta che un vago abbozzo, una delicata rievocazione dovuta al rapido alternarsi di luce e ombra durante l’azione manuale di sollevamento della pellicola. Una sorta di rilettura aerea del passato dettata, oltre che dal sensore ottico, da leggeri movimenti che sfuggono al controllo causando distorsioni, ripetute striature, perdita di informazioni. L’immagine sfocata è più vicina all’imperfezione naturale dell’occhio, a una sorta di miopia in questo caso volontaria, dove lo sfocato eroicizza l’immagine, la sua intimità. L’attenzione si posa sulla soglia che separa nitidezza e dispersione, rispettivamente memoria ed oblio, in un clima dal carattere illusorio, quasi fossero, questi spazi, la visione ambigua di un miraggio. Nel tentativo di tradurre lo spessore temporale, la scansione si trasforma in strumento di misurazione della lontananza, in cui il vuoto fisico non è altro che la proiezione di quello emotivo. |
installation view | Geografie della memoria | ex Refettorio delle Monache, Istituto Storico Parri | Bologna | 2019